QUELLO CHE NON SI DICE SULL’ALCOL
L’espressione «bere alcol» non è corretta: è più opportuno parlare di consumo di bevande alcoliche. Questa sostanza viene infatti assunta attraverso il vino, la birra e altri alcolici. In Italia i tre quinti dei problemi alcolcorrelati dipendono dal vino, un quinto dalla birra, il restante quinto dai rimanenti drink alcolici e superalcolici.
Con scadenza quasi periodica, si diffondono notizie di possibili effetti benefici del vino per la salute, in virtù della presenza di alcuni antiossidanti nella buccia dell’uva, il più noto dei quali si chiama resveratrolo. Questo elemento si trova davvero nell’uva, ma anche in altri 72 vegetali. Pare strano quindi che i tanto declamati effetti benefici del resveratrolo vengano così frequentemente associati al vino, quando invece è possibile assumerlo, per esempio, consumando olio di oliva, succo di mirtillo o ancora meglio, mangiando l’uva stessa. In realtà, si tratta di un antiossidante presente solo in tracce nel vino e chi beve, per ogni parte di resveratrolo benefico introdotta, assume contemporaneamente molto alcol, con una concentrazione decine di migliaia di volte superiore; e stiamo parlando di una sostanza tossica e potenzialmente cancerogena.
Anche moderate dosi di bevande alcoliche promuovono particolari forme di cancro, come quello all’intestino o alla laringe. Chi beve due bicchieri di vino al giorno vede incrementare del 25 per cento il rischio di sviluppare un tumore all’intestino, come chi è abituato a consumare quotidianamente due pinte di birra. L’allarme arriva dal Cancer Research Centre britannico che, in controtendenza rispetto all’ultima campagna governativa anti-alcol, secondo cui un paio di bicchieri sarebbero il limite massimo per non avere problemi di salute, sostiene invece che il pericolo è reale: con uno studio pubblicato sull’International Journal of Cancer, gli scienziati del Regno Unito evidenziano addirittura come un solo bicchiere equivalga a un aumento del 10 per cento del rischio di contrarre il cancro. «La ricerca mostra chiaramente che più alcol si ingerisce, più aumenta il rischio di cancro all’intestino», dice Tim Key del Cancer Research (Regno Unito).
Per quanto riguarda gli effetti ormai dimostrati dell’alcol sul rischio di cancro al seno, uno degli studi più completi mai realizzati non rivela alcuna differenza tra vino bianco o rosso, tra birra o liquori. È l’alcol in sé (alcol etilico) e la quantità assunta ad aumentare tale rischio. Chi beve tre o più dosi di bevande alcoliche al giorno vede incrementato il pericolo di cancro al seno, secondo i ricercatori Yan Li e Arthur Klatksy.
Infine, il tema cuore. Si parla spesso che il vino protegge questo importante organo, ma «il possibile, finora non provato, beneficio coronarico, che deriverebbe dal vino (bianco o rosso) potrebbe essere invece in relazione con altre modalità di alimentazione più favorevoli fra coloro che bevono principalmente vino, oppure con le condizioni di salute di questi bevitori, come è stato dimostrato da altre ricerche negli Stati Uniti e in Danimarca», ha dichiarato Klatksy. Secondo l’Oms, non ha alcun senso, per proteggere la salute, consigliare un consumo moderato di alcol, e la pubblicità data a questo concetto è in gran parte da ricondurre a propaganda commerciale, e non a rigorose ricerche scientifiche.Negli anni si è cercato di trovare una «soglia di sicurezza», ovvero la quantità di alcol assumibile senza correre rischCon il passare del tempo tale soglia è stata fissata a valori sempre più bassi. È una questione complessa, per le mille variabili che entrano in gioco. L’Oms oggi sostiene che non esiste una soglia al di sotto della quale sia possibile consumare alcol senza correre rischi.
Recentemente sono state presentate proposte di legge per abbassare a zero il tasso di alcol alla guida per i giovani neo patentati, i conducenti professionali (pullman, autocarri e taxisti) e i recidivi. Questo sorprendentemente senza considerare che già oggi esiste la tolleranza zero per chi guida professionalmente un mezzo su ruote (Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006). Questo elenco delle professioni che devono essere «alcohol-free» si trova sul sito del Governo alla pagina
http://www.governo.it/backoffice/allegati/27855-3019.pdf
Fra le tante attività elencate, spiccano anche gli addetti all’edilizia (se in quota oltre i due metri), settore in cui si lamentano molte vittime ogni anno e nel quale però la tradizione di bere alcolici a pasto è dura a morire. Si notano poi gli addetti alla guida di ogni veicolo stradale e ferroviario (ma i sindacati dei ferrovieri la pensano diversamente), così come la gestione della circolazione dei treni.
Si aggiungono i gruisti, semoventisti, gli addetti allo sbarco delle navi e i riparatori navali (questi ultimi se in quota oltre i due metri), gli addetti alle sostanze esplosive e infiammabili, i medici e gli infermieri, gli insegnanti delle scuole, materne comprese, i piloti d’aereo, i controllori di volo, il personale marittimo di coperta e di macchina.
La legge c’è, il problema ora è farla osservare. A livello locale, se ne dovrebbero occupare le aziende (almeno quelle che hanno a cuore la sicurezza sui luoghi di lavoro), e le Asl; ma questa Intesa del 16/3/2006 è poco conosciuta, mentre tutti parlano della legge 626, che da questo punto di vista è purtroppo carente.
Non sono da trascurare le resistenze dei sindacati. Basti pensare che gli ufficiali imbarcati sulle navi in precedenza avevano ottenuto, tramite trattative sindacali, l’inserimento nel contratto collettivo nazionale di lavoro di un benefit: poter bere bevande alcoliche «a discrezione», cioè senza limiti. Se foste su una nave da crociera, vi fidereste di un comandante che beve senza limiti? E hanno il coraggio di chiamarlo benefit.
A una domanda simile alla precedente, gli italiani sembrano essere più parchi degli altri, in quanto ben il 58 per cento afferma di aver bevuto solo una o due unità alcoliche. Ma all’altra domanda, se si sono presi dei rischi nella serata (cioè hanno bevuto più di due unità e hanno guidato) gli italiani, con il 26 per cento, svettano su tutti.
I nostri connazionali sono anche i meno attenti nel designare il guidatore sobrio per la serata (16 per cento), forse incoraggiati in questo comportamento da un’altra realtà: quella di essere i meno controllati in Europa dalle pattuglie (88 per cento); in questo caso, stranamente, al pari degli inglesi.
Tolleranza zero per alcool e guida
Tra dicembre e gennaio si è sviluppato un dibattito in seguito alle varie proposte di abbassare il limite dell’alcolemia alla guida, come misura atta a ridurre gli incidenti stradali, che ultimamente hanno attratto sempre di più l’attenzione dei media, aumentando lo sdegno nell’opinione pubblica.I politici, che come dicono gli americani «vogliono essere visti come quelli che fanno qualcosa» hanno proposto lo «zero alcol» ai giovani neo patentati, ai conducenti professionali (pullman, autocarri, tassisti) e ai recidivi (proposte dei ministri Maroni e Sacconi). Senza considerare che già oggi esiste la tolleranza zero per chi guida professionalmente un mezzo su ruote (Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006). Successivamente il dibattito si è allargato all’ipotesi di ridurre il limite di alcolemia a tutti i guidatori dallo 0,5 allo 0,2.
Nonostante le buone intenzioni, i progetti sono stati subito avversati dai sostenitori della linea morbida, ovvero quelli per i quali sono sufficienti le campagne educative. Un esempio per tutti, il deputato Angelo Compagnon (Udc), che in commissione Trasporti si è dichiarato contrario alla riduzione da 0,5 a 0,2 del tasso alcolico consentito. In pratica, no alla repressione, sì alla prevenzione. Tolleranza zero, invece, per chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti e ai conducenti di mezzi pubblici che consumano alcol.
Le ong (Organizzazioni non governative) attive nel campo dei problemi alcolcorrelati o legati alle vittime della strada, hanno invece sostenuto il progetto, in quanto convinte che abbassare l’alcolemia significhi risparmiare vite. Quando fu reso obbligatorio il casco, inizialmente venne imposto solo ai minorenni, in quanto categoria più a rischio, ma il vero salto di qualità si ebbe quando il divieto fu esteso a tutti.
Altre associazioni hanno però addirittura aumentato la confusione; per esempio la campagna «BastaUnAttimo», ha lamentato che con il limite a zero anche chi fa uso di colluttori e sciroppi per la tosse finirebbe nelle maglie della legge, e che interventi così restrittivi non sono poi di grande aiuto per far capire il problema dell’incidentalità stradale.
Anche la ministra Meloni ha contribuito non poco al polverone, con il suo progetto «Naso Rosso»: hai bevuto troppo? Niente paura, ti accompagniamo noi a casa, però intanto il ministro ha bocciato la proposta di abbassare a zero la soglia di alcol per mettersi al volante. Poi ci deve aver ripensato e ha dichiarato: «Se si vuole la soglia a zero, allora il limite va abbassato per tutti».
Naturalmente la lobby più attiva è stata quella degli assessori all’agricoltura, che si sono trovati concordi nello scrivere al Governo di non abbassare l’alcolemia a zero. Secondo loro occorre distinguere tra vino e superalcolici e capire i reali motivi del disagio specialmente nelle fasce giovanili.
Insomma, tutti esperti in sicurezza stradale, tutti che avevano in serbo molte efficaci strategie per la sicurezza dei giovani. Chissà perché non ne hanno parlato prima?
Poi, nonostante a metà gennaio l’On. Moffa abbia dichiarato che lo zero assoluto per chi guida l’auto potrebbe essere presto introdotto dalla legge che è all’esame della Commissione trasporti della camera, non se ne è saputo più nulla.